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dai GIORNALI di OGGI

Energia: il boom delle rinnovabili sfida la recessione

2009-02-04

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Dalessandro Giacomo

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2009-02-056

Fotovoltaico organico, a Roma parte la fase pre-industriale

di Luca Salvioli

Parte la fase pre-industriale del fotovoltaico organico. Il lancio è avvenuto a Roma, nel Laboratorio di ricerca e sviluppo tecnologico del Polo solare organico della Regione Lazio. E' lì, all'interno del Tecnopolo Tiburtino, che entro fine 2010 verranno realizzate, con la nuova tecnologia, celle solari su vetro per 10mila metri quadrati.

Di cosa si tratta? Il fotovoltaico è oggetto di un notevole sforzo dei laboratori di ricerca. Il presente è costituito perlopiù dai tradizionali pannelli mono o policristallini spesso circa 100 micron. A fianco si sviluppa il segmento del film sottile. Permette costi inferiori e una migliore integrazione architettonica, anche se deve dimostrare la stessa affidabilità. Per il momento a livello commerciale esiste solo quello inorganico, che arriva ad uno spessore, a seconda del materiale (silicio amorfo, diseleniuro di indio e rame o tellururo di cadmio), di meno di un micron. "Siamo pronti con il fotovoltaico organico", spiega Franco Giannini, direttore del Dipartimento di Elettronica dell'università di Roma Tor Vergata e condirettore, insieme ad Aldo Di Carlo, del Polo solare. Con lo sviluppo tecnologico diminuisce lo spessore, il costo, ma anche l'efficienza. In genere si va dal 10-12% del pannello tradizionale all'8% del film sottile inorganico fino a circa il 4% dell'organico.

I vantaggi dell'organico. L'idea nasce in Svizzera, ma è stata sviluppata nei laboratori di ricerca laziali. A differenza delle celle di silicio, in questo caso la luce viene convertita in corrente elettrica grazie all'azione combinata di un colorante di origine organica (gli antociani) e un film sottile di nanoparticelle di biossido di Titanio (lo stesso materiale utilizzato come sbiancante nei dentifrici). La cella è composta da una base in vetro o plastica e "uno strato di biossido di Titano sul quale vengono depositati gli altociani e un elettrolita", continua Giannini. Sulla carta i vantaggi principali, rispetto all'inorganico, sono diversi. "Innanzitutto lo scambio di cariche non avviene attraverso un'unica superficie - dice Giannini - con le nanoparticelle la reazione avviene su tre dimensioni". C'è poi l'aspetto dei costi: "Un impianto che oggi costa 20mila euro potrà crollare a 200 euro". I materiali, infine, sono più leggeri e dovrebbero favorire l'integrazione architettonica. La tecnologia sfrutta la luce diffusa, in quanto le celle trasparenti possono essere integrate sui vetri delle costruzioni e sfruttarla sia in esterno che in interno.

Pubblico&Privato. I Laboratori sono il frutto della collaborazione tra l'Università Roma Tor Vergata e la Regione Lazio, che ha finanziato l'attività di ricerca due anni e mezzo fa con 6 milioni di euro. Lo spin-off Universitario Dyers farà da supporto alla fase di ingegnerizzazione del prodotto. Per l'industrializzazione effettiva, che avverrà dopo il 2010, si è già creato un consorzio all'interno del quale confluiscono l'università Tor Vergata di Roma, quelle di Ferrara e Torino a fianco di alcune aziende che si sono aggiudicate l'esclusiva della produzione e commercializzazione: Erg Renew, Permasteelisa e l'affiliata italiana dell'australiana Dyesol. L'assessore all'Ambiente e Cooperazione tra i Popoli della Regione Lazio, Filiberto Zaratti, ha spiegato il duplice risultato del Polo d'eccellenza: "Il primo è quello di aver dato un primo impulso al settore dell'industria delle rinnovabili nella nostra Regione, mentre il secondo è quello di voler aiutare il sistema paese a superare il gap tecnologico e di ricerca che possiede in questo campo. Ora la scommessa, in un periodo di crisi come questo, è quella di dare uno sbocco industriale a queste tecnologie sostenibile che sono a disposizione delle aziende".

I nodi da risolvere. Sulla strada della commercializzazione vanno ancora risolte alcune questioni. "L'unico vero problema che dovremo risolvere in questa fase è legato all'elettrolita utilizzato - conclude Giannini -. Quello attuale è corrosivo, quindi richiede elettrodi fatti di materiali molto resistenti". Inoltre "dobbiamo capire meglio i meccanismi con cui avvengono alcuni fenomeni nanoscopici".

 

2009-02-05

Fotovoltaico: Italia in prima fila per la competitività

di Giuseppe Caravita

Ha fatto scalpore, tra gli addetti ai lavori, uno studio della McKinsey che indicava due Paesi al mondo come i più vicini, oggi, alla "grid parity" fotovoltaica. Ovvero a quel punto di pareggio in cui una cella solare, sotto un cospicuo irraggiamento, riesce a produrre elettricità a costi uguali, o persino inferiori a quelli prevalenti di mercato.

E l'Italia, caratterizzata dalle sue tariffe elettriche più care del 30% rispetto alla media europea e, insieme, da un robusto irraggiamento naturale, è stata valutata dagli analisti della McKinsey global Foundation come il secondo candidato mondiale alla rottura del filo di lana fotovoltaico: elettricità realmente competitiva con le fonti fossili.

Ma le cose stanno davvero così? Heinz Ossembrink, responsabile dell'unità per le energie rinnovabili del centro di ricerca comunitario di Ispra, da oltre vent'anni, con il suo gruppo, misura il fotovoltaico europeo e internazionale. "La "grid parity" stabile, con il progresso delle tecnologie e la riduzione nei costi arriverà all'incirca, nelle previsioni condivise, al 2012 – osserva – ma già l'estate scorsa, sulla borsa elettrica del Gme vi sono stati numerosi casi di richieste spot di picco diurno giunte a 50-60 centesimi per chilowattora. E alcune di queste sono già state soddisfatte da forniture via rinnovabili". Si tratta, per ora di casi piuttosto estremi. "Ma, soprattutto nel Sud Italia, la barriera del l'economicità comincia a essere superata, e non solo per poche settimane all'anno".

Per Ossembrink è la leva per una previsione: "La nascita, nei prossimi anni, di operatori a energie rinnovabili combinate e integrate, di massa critica sufficiente, capaci di sfruttare al meglio le situazioni di picco, e di adattarsi con flessibilità al mercato".

Un esempio viene da un esperimento in corso guidato dal l'Università di Kassel per conto del Governo tedesco: la simulazione di un impianto energetico combinato, da 40 megawatt, che integra 36 impianti da biomasse, pompaggio d'acqua in bacini idroelettrici, campi eolici e fotovoltaici. "Ebbene, un impianto a rete di questo tipo sarebbe ampiamente capace di soddisfare la domanda elettrica in ogni punto dell'anno, anche nei suoi picchi stagionali". Sfatando il mito di rinnovabili incostanti, destinate a un futuro marginale.

"Nei prossimi anni cominceranno ad emergere operatori ibridi di questo tipo – prevede Ossembrink – che si avvantaggeranno da crescenti masse critiche e insieme dalla riduzione dei costi insito nello sviluppo della tecnologia fotovoltaica. Il loro punto critico starà nello storage. I pompaggi possono essere molto costosi. In inverno, per esempio, i picchi sono nelle ore serali. E uno storage di energia persino di poche ore, anche fatto con sistemi di batterie, potrà fare la differenza".

Operatori di picco, quindi, agili e capaci di evolvere. "Con strutture energetiche anche, per così dire, in multiproprietà, ma gestite in modo coordinato. E casi di questo genere, almenmo in Germania, cominciano a emergere". La traiettora, secondo Ossembrink, verso gestori profittevoli e di mercato. E non più dipendenti dai sussidi pubblici.

 

 

 

 

 

 

Eolico: boom mondiale nel 2008 con Usa, Europa e Cina

5 febbraio 2009

Il 2008 si conferma, anche su base globale, come un anno di boom per l'eolico. Secondo le prime stime del Global Wind Energy Council le istallazioni di campi eolici hanno superato negli scorsi dodici mesi i 27 gigawatt, con una crescita su base globale, in termini di nuova capacità istallata, del 36% sul 2007.

Oggi nel mondo l'eolico rappresenta circa 120 gigawatt di picco di potenza, pari a 260 terawattore annue di produzione elettrica, aumentate del 28,8% nei dodici mesi. Certo, si tratta di una frazione ancora piccola (intorno all'1,3% della produzione elettrica globale) ma che in Spagna raggiunge il 10%, in Germania il 7% e in Italia, nel 2008, il 2%.

Primo protagonista di questa fase di crescita dell'eolico gli Usa, che nel 2008 hanno sorpassato la Germania come primo produttore eolico mondiale, con un'accelerazione al ritmo del 50% della capacità istallata (25 gigawatt, di cui 8,3 nell'anno). Cifre significative: Il Gwec stima che l'eolico nel 2008 abbia pesato negli Usa per il 42% dell'intera nuova potenza elettrica aggiunta nel paese. Poco distante l'Asia, con in testa la Cina. Mentre Nord America e Europa corrono testa a testa, ciascuna al ritmo di 9,9 nuovi gigawatt, l'Asia si è attestata a 8,6, poco al di sotto. Il vero motore asiatico è cinese, che per il secondo anno di seguito ha raddoppiato la sua capacità di energia dal vento (ormai a 12,2 gigawatt, di cui 6,3 nel 2008). "E lo scenario per i prossimi anni - afferma Shi Pengfei, vicepresidente della Cwea (Chinese Wind energy association) - sarà ancora molto positivo". L'Eolico, infatti, è stato identificato dal Governo cinese come una delle aree di crescita, capaci di mitigare gli effetti dell'attuale crisi finanziaria e occupazionale. Nel 2009 le previsioni della Creia (l'associazione dell'industria cinese delle rinnovabili) scontano ancora un raddoppio. Con un ritmo che già a fine 2010 potrebbe mettere la Cina sulla corsia di sorpasso sia della Spagna che della Germania.

Obiettivo anche industriale. Oggi il mercato mondiale per le turbine eoliche viene stimato in circa 36,5 miliardi di Euro. Con circa 400mila addetti globali. "E queste cifre saranno nell'ordine dei milioni nel prossimo futuro, rileva Arthouros Zervos, presidente del Gwec.".

Soltanto l'anno scorso negli Usa si stimano circa 35mila posti di lavoro nuovi creati nell'eolico, su un totale di 85mila. Il 2009, così, vedrà le prime offensive industriali cinesi anche oltre confine. Per esempio in Gran Bretagna e Giappone, dove alcuni contratti per torri eoliche sono già stati firmati.

Anche la scena europea appare in pieno movimento: 8,9 gigawatt aggiuntivi su una capacità complessiva di 66 gigawatt. E, per le prima volta, una quota italiana (3,7 gigawatt dichiarati dalla Anev) che supera il 41% del totale di nuove torri eoliche 2008 nel continente.

Italia, Francia e Gran Bretagna, più degli "storici" protagonisti dell'eolico europeo (Spagna e Germania) appaiono i paesi più dinamici negli scorsi dodici mesi. Segno di un chiaro fenomeno di rincorsa messosi in moto, soprattutto sotto la spinta della direttiva europea 20-20-20 (il 20% da rinnovabili al 2020) e che vede l'eolico oggi, per costi e volumi prodotti, come la nuova fonte di punta.

Ma durerà questo abbrivio, sotto il peso della crisi finanziaria e della recessione? I primi ad alzare cartellino rosso sono le associazioni Usa: "Le nostre cifre sono allo stesso tempo esaltanti e preoccupanti – afferma Denise Bode, Ceo dell'Awea (American wind energy association – La performance americana del 2008 conferma che l'eolico è ormai una fonte economica e produttiva di nuovi posti di lavoro, e la nostra industria è pronta a raggiungere l'obbiettivo presidenziale di un raddoppio dell'energia rinnovabile nei prossimi tre anni. Allo stesso tempo è altresì chiaro che la recessione sta cominciando a mordere seriamente, anche su di noi. Già cominciano i primi licenziamenti nel settore manifatturiero eolico. Il pacchetto di stimolo governativo sarà quindi vitale". Ripristinare gli incentivi fiscali all'eolico, così come prevede il dispositivo di legge votato al Congresso, può invertire, anche rapidamente, l'iniziale trend al declino degli investimenti, sostiene Bode.

Nelle ultime settimane, infatti, l'Awea segnala un netto rallentamento degli ordinativi di turbine e componenti. E emergono anche altri segnali negativi. Per esempio l'ultima indagine sull'attrattività degli investimenti in rinnovabili dell'Ernst& Young segnala una perdita di punti degli Usa, e un'ascesa della Germania. In un quadro di riduzione record di attrattività per tutti i venti paesi analizzati nello studio, Italia inclusa. Effetto sensibile e generale della crisi finanziaria, secondo Angelo Era, specialista di energia alla Ernst & Young, ma più accentuato negli Usa. Qui "La pesante situazione economica Usa ha limitato fortemente l'accesso ai finanziamenti e ha rallentato gli scambi di titoli Ptc (Production Tax Credit) e Itc (Investment tax credit) che consentono alle aziende di ottenere sgravi fiscali acquistando crediti dai produttori di energie rinnovabili. Il settore dei servizi finanziari è di gran lunga il principale acquirente di Ptc. L'attuale volatilità ha però reso impossibile l'acquisto di tali crediti da parte di molti operatori, e questo ha a sua volta impedito agli investitori in progetti di energia rinnovabile di realizzare il valore degli investimenti già fatti".

In pratica: il pacchetto di stimolo di Obama sarà cruciale sia sul versante degli sgravi fiscali che della riattivazione dei canali finanziari sui cui concretamente agiscono. Meglio posizionata la Germania, dove il Governo Merkel ha recentemente annunciato un programma per 33 nuovi campi eolici offshore da 25 gigawatt complessivi al 2030. E ha guadagnato posizioni nella graduatoria (ora al quinto posto, a pari con la Spagna) anche la Gran Bretagna, dopo l'approvazione di una tariffa incentivata per le piccole wind farm. Però, in ambedue i casi, c'è da attendersi criticità. Il piano tedesco, molto ambizioso, subirà probabilmente dei ritardi. E la svalutazione della sterlina agirà anch'essa negativamente. Per non parlare della riduzione del prezzo del petrolio che riduce la redditività dei progetti. Di conseguenza in tutto il mondo è prevedibile l'aumento delle cancellazioni e dei rallentamenti. Molti operatori diverranno più attendisti. Ma tutto ciò - sostiene Era - dovrebbe avvantaggiare gli operatori con grandi capitali disponibili. "C'è un'interessante tendenza in atto, che vede l'aumento delle partnership tra operatori e grandi investitori. Merita di essere seguita con attenzione".

 

 

 

 

 

 

Decollano le micro-pale gestite in casa

di Luca Salvioli

L'ecosistema economico della microgenerazione e della generazione distribuita, ovvero quel segmento della produzione di energia rinnovabile "fatta in casa", o comunque integrata in prossimità di scuole, ospedali, piccole industrie, gruppi di aziende agricole, aspettava i decreti attuativi del l'ultima Finanziaria del governo Prodi (2008) da un anno.

Il Dm 18 dicembre 2008 segna un passo importante per lo sviluppo del settore: adesso per l'energia elettrica prodotta e immessa in rete da impianti eolici di potenza non superiore a 200 kW e da impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza non superiore a 1 MW si possa scegliere, su richiesta del produttore, tra i certificati verdi e una tariffa fissa omnicomprensiva di entità variabile, per una durata di 15 anni.

In pratica viene esteso un meccanismo di incentivazione simile al Conto energia fotovoltaico, che infatti è escluso dalla novità legislativa, alle altre fonti. Per il mini eolico la tariffa, che durerà 15 anni, sarà di 0,30 euro per kWh. "In Italia per il mini-eolico c'è un potenziale enorme – spiega Simone Togni, segretario generale del l'Anev, associazione nazionale energia del vento – stimabile intorno a 1-2 Twh annui".

In Italia, per la verità, il movimento è iniziato prima dell'approvazione del decreto: esistono già diversi produttori, come Ionica Impianti, Terom, Bluminipower, Siper, Ropatec e Tozzi Nord. La prospettiva è quella di "concepire gli edifici in modo che agiscano, per alcune parti o globalmente, come dispositivi concentratori di vento", spiega Lorenzo Battisti, ingegnere, docente all'Università di Trento, nel capitolo dedicato al minieolico all'interno del volume Nuove vie del vento, a cura di Luciano Pirazzi e Antonio Gargini (Franco Muzzio editore). Battisti coordina il campo eolico sperimentale di Trento (www.eolicotrento.ing.unitn.it): l'energia del vento ha ormai raggiunto livelli di affidabilità notevole sulla grossa taglia, ma per quanto riguarda la microgenerazione gli studi e lo sviluppo sono molto recenti, per questo si tratta ancora di un settore sospeso tra uno spicchio di presente e molte aspettative per il futuro.

Le possibilità di integrazione del piccolo eolico nelle aree urbane, e non solo su agriturismi o case di campagna, è coerente con l'obiettivo di abbattimento della CO2 nelle città. L'impianto eolico viene "integrato nella struttura stessa del l'edificio – scrive Pirazzi – dove troverà collocazione assieme ad altri impianti di conversione di fonti rinnovabili, quali ad esempio gli impianti fotovoltaici che si prestano all'integrazione con la fonte eolica". Anche perché il vento spesso abbonda di notte, quando il sole riposa. "In termini elettrici il contributo che il segmento può dare è elevato – conclude Togni –. Ma può fare molto anche in termini culturali, avvicinando chi produce a chi consuma energia".

luca.salvioli@ilsole24ore.com

 

 

Energia: il boom delle rinnovabili sfida la recessione

di Giuseppe Caravita

Martedí 03 Febbraio 2009

L' impianto fotovoltaico ' Il sole di Vignale' di 15.000 mq. di pannelli fotovoltaici, il piu' grande della Toscana.(Franco Silvi/Ansa)

Due grandi onde contrapposte. La prima di recessione mondiale. La seconda, positiva e ancora ben alta, di una ristrutturazione energetica centrata sulle nuove fonti rinnovabili, e che nel 2008 sembra aver preso velocità.

I governi di Europa, Usa, Cina, Giappone (per citare solo i maggiori) puntano su questa "green economy" nascente come una delle carte cruciali nei loro pacchetti di stimolo antirecessivi. L'obbiettivo, per tutti, è di sostenere un nuovo ciclo innovativo e di posti di lavoro, per il 2009 e il 2010, tale da alimentarsi da sé anche negli anni successivi, quando alcune tecnologie chiave (eoliche, fotovoltaiche, solari termodinamiche o semplicemente termiche, geotermiche...) avranno raggiunto il punto di pareggio con il costo delle fonti fossili. Quando queste ultime, secondo un diffuso consenso tra gli esperti, ritorneranno a salire nei prezzi ai primi segnali di ripresa dell'economia mondiale. "Le rinnovabili sono un'opportunità anche per l'Italia – spiega Antonio Costato, vicepresidente di Confindustria per l'energia – a patto che siano un'occasione di sviluppo e di ricerca per l'industria nazionale".

È la scommessa di tutti. Radicare le nuove tecnologie energetiche nei sistemi produttivi nazionali, sospingere masse critiche e innovazioni fino al punto in cui queste potranno muoversi con le loro gambe, senza la necessità di massicci incentivi, gravanti sulle bollette dei consumatori o sulle casse pubbliche. Ma la condizione è una rete elettrica di nuova generazione, o smart grid, capace di gestire con intelligenza le rinnovabili incostanti, compensarle con le fonti tradizionali, ottimizzare lo storage di energia (in Italia attraverso i pompaggi nei bacini idroelettrici) per metterla in rete quando più serve. E, sia negli Usa che in Europa, si moltiplicano le idee e i progetti per associarvi "autostrade elettriche" a lunga distanza, persino transcontinentali (Europa verso Africa del Nord, per esempio) tramite potenti cavi a corrente continua, capaci di portare gli elettroni rinnovabili da una costa all'altra degli Usa, o dai campi eolici del Mare del Nord, o della Spagna, fino a farli equilibrare con quelli provenienti dalle centrali solari del Sud-Europa o persino nel deserto saharaiano.

Rinnovabili più nuove reti. Questa è, in sintesi, la formula rintracciabile sia nel pacchetto di stimolo di Obama, che di quello cinese e europeo. Le cifre del boom 2008 sono eloquenti: circa 120 miliardi di dollari investiti in rinnovabili (e connessa industria, esclusa idroelettrica) con una crescita del 67% sui 71 miliardi stimati dal rapporto Ren 21. Nel 2007 lo studio stima una quota da rinnovabili sulla produzione elettrica mondiale del 3,4%, a 240 gigawatt (cresciuti del 50% sul 2004). Prima, per dimensioni, la fonte eolica (+28% nel 2007) a 95Gw di potenza di picco raggiunta. Ma la più veloce è l'industria fotovoltaica: nel 2007 ha accelerato dal 40 al 60%, secondo l'ultimo Pv Status report del l'Istituto per l'energia Europeo. E per l'anno scorso la Photon International stima un +75%, con circa 7 gigawatt prodotti, che potrebbero persino quadruplicarsi al 2010.

Continuerà questa corsa, nonostante la recessione? E, soprattutto, riusciranno le politiche pubbliche a ridare fiducia ai mercati riportando a livelli accettabilile quotazioni dei titoli azionari "cleantech"? Nessuno, francamente, ha oggi la risposta sicura. Ma una dose di ottimismo è giustificata. La parola passa alle politiche degli stati. I riflettori oggi sono sugli Usa di Barack Obama, il principale sostenitore di una sorta di "Green New deal". Nel pacchetto anticrisi approvato dal Congresso Usa giovedì scorso spiccano sei capitoli riguardanti l'energia e le rinnovabili. Il maggiore, per 32 miliardi di dollari, verte sugli investimenti nella modernizzazione della rete elettrica Usa (oggi a macchie di leopardo); 11 miliardi di dollari vengono poi destinati alla ricerca e sviluppo sulle smart grids, le reti elettriche intelligenti.

 

Ammonteranno a 8 miliardi i prestiti garantiti su impianti a fonti rinnovabili e progetti su nuove linee elettriche, 350 milioni per la ricerca sull'uso di rinnovabili in ambito militare e 2 miliardi per efficienza energetica. A tutto ciò si aggiungono 4 miliardi per la formazione di esperti di efficienza energetica delle case e per impianti a rinnovabili. L'obbiettivo di Obama è quello di raddoppiare entro tre anni l'ammontare di energia eolica, solare e geotermica ad almeno 50 gigawatt. "L'effetto sull'intera industria globale delle nuove energie sarà evidente" - dice Gianni Silvestrini, presidente Kyoto club. In Cina, inoltre, i 416 miliardi di euro anti-crisi appena varati da Pechino per l'efficienza energetica e l'ambiente serviranno anche a raggiungere il recente obbiettivo nazionale del 13% da rinnovabili al 2020. E ormai sono 66 i Paesi del mondo con target pubblici sulle rinnovabili. E una sessantina (37 industriali e 23 in via di sviluppo) hanno politiche di incentivo, tra tariffe elettriche incentivate, obblighi di quote per i gestori elettrici, sussidi agli investimenti e crediti fiscali. Spicca, su tutti, l'Unione Europea.

Dallo scorso dicembre la direttiva 20-20-20 è divenuta esecutiva. Obbliga gli stati membri, entro i prossimi 11 anni, a innalzare la loro quota di rinnovabili sul consumo di energia primaria (elettricità, riscaldamento e trasporti) dall'8,5% attuale fino al 20% medio europeo al 2020 e contemporaneamente di ridurre le emissioni di gas serra e aumentare l'efficienza energetica di pari percentuali. Tutto ciò avrà un costo: secondo uno studio di Ernst & Young nel decennio, e solo nel settore elettrico, saranno necessari investimenti per 500 miliardi di euro, e non solo sulle fonti rinnovabili ma anche sulle necessarie "smart grid" per gestirle.

Tra Scilla degli attuali bassi prezzi petroliferi e Cariddi delle restrizioni del credito. Eppure l'Italia potrà farcela. Nel 2008 il fotovoltaico è cresciuto del 170% e l'eolico del 35%. L'analisi di Ernst&Young pone l'Italia tra i paesi europei con un potenziale naturale per le rinnovabili superiore all'obbiettivo da raggiungere. "Oggi disponiamo di un conto energia per il solare, tra i più generosi al mondo – rileva Silvestrini – e bene ha fatto il Governo italiano a estendere la formula della tariffa incentivata anche al minieolico, alle biomasse, alla geotermia e all'energia ottenuta da moto ondoso". Il recente pacchetto anticrisi ha poi confermato l'esenzione fiscale del 55% per l'efficienza energetica abitativa che, secondo l'Assistal, ha già mosso investimenti per 1,8 miliardi nel 2008 e 2,9 miliardi prevedibili quest'anno. "E vi sono anche margini ulteriori.

Per esempio sulle fonti di calore rinnovabili (fumi industriali, nuova geotermia, ndr) potremmo quintuplicare". "L'importante è spingere su rinnovabili endogene che promuovano produzione, ricerca e lavoro – afferma Costato – ed evitare operazioni speculative, come certi parchi eolici intermittenti che poi ci costringono a bilanciamenti, sulla rete elettrica, fortemente costosi. E poi bisogna sbloccare la burocrazia: non si possono fare i parchi eolici solo dove le amministrazioni sono più accondiscendenti. Non possono essere tollerati sprechi. E tecnologie come il fotovoltaico, il geotermico, le biomasse, l'idroelettrico e il solare termico che ben si sposano con il clima italiano devono essere il catalizzatore per sviluppare un'industria coerente con le potenzialità del nostro territorio".

 

 

 

Meglio i pannelli solari dei BoT

di Laura La Posta

Quasi quasi, conviene più investire in pannelli solari che in BoT, visto il minimo storico del rendimento netto dei titoli a sei mesi (1,29%). Certo, i due investimenti non sono comparabili – e il confronto andrebbe fatto con i Btp decennali, attualmente con un rendimento netto attorno al 3,80% –, ma la provocazione è meno azzardata di quanto sembri.

Considerati il favorevole quadro normativo e i generosi incentivi (si vedano gli articoli a pagina 4), ci sono le condizioni per considerare seriamente l'investimento in un impianto fotovoltaico domestico. Che azzera la bolletta elettrica e genera reddito, dato che il surplus prodotto può essere immesso in rete e pagato dal Gestore dei servizi elettrici a condizioni vantaggiose.

Per fare un esempio, segnalato dall'associazione indipendente Altroconsumo, per un investimento sui 15mila euro (circa 16 mq di superficie di pannelli installati su una casa nell'Italia centrale abitata da quattro persone), il vantaggio economico annuo è sui 1.500 euro (tra costi di energia evitati e guadagno per la vendita di kWh prodotti). Certo, non bisogna avere fretta (né traslocare), visto che il tempo di ritorno dell'investimento iniziale è circa dieci anni. Però, come scrive online il gruppo di acquisto di pannelli solari degli Amici di Beppe Grillo di Modena, "un impianto fotovoltaico dura anche 40-50 anni e il reddito annuo costituisce di fatto una pensione integrativa".

Ma soprattutto, l'affare lo fa l'ambiente, risparmiandosi l'immissione nell'atmosfera di 700 grammi di anidride carbonica per ogni kWh pulito al posto di uno "normale". E su questo non c'è paragone con BoT e Btp che tenga: la convenienza è certa.

 

 

 

 

 

 

Twind: "Ecco come costruiamo l'eolico in alta quota"

di Luca Salvioli

L'attenzione nei confronti di idee e aziende innovative, in materia di energia rinnovabile, è altissima. Anche in Italia. Lo dimostra, ad esempio, il caso di Twind, progetto di Zanettistudios, società di consulenza e sviluppo che racconta il suo progetto di eolico ad alta quota al Sole-24 Ore. "Riceviamo decine di mail di richieste di informazioni, eppure non abbiamo ancora dato una comunicazione ufficiale" spiega Giancarlo Zanetti, amministratore unico di Zanettistudios.

L'idea di liberare palloni a qualche centinaio di metri dal suolo, dove il vento è più forte e continuo, è ancora sperimentale. Nel nostro Paese è abbastanza noto il progetto KiteGen, per il quale il Politecnico ha dato il suo supporto alla Sequoia Automation: una centrale eolica ad asse di rotazione verticale che sfrutta i venti di alta quota. L'idea di Twind si basa sullo sfruttamento di una coppia di palloni aereostatici di 12 metri di diametro frenati a quota 800 metri da cavi in Kevlar, resistenti al traino di 40 tonnellate, che fungono anche da elemento di trasmissione del moto.

Ogni pallone dispone di una vela di 2-300 metri quadrati di superficie. Quando un pallone apre la propria vela, viene trascinato dalla forza dei venti ad alta quota; simultaneamente l'altro pallone, a vela chiusa, viene riportato sulla verticale della piattaforma, sempre a 800 metri dal suolo, trainato dallo stesso cavo collegato al primo pallone. L'energia viene prodotta da un generatore posto a terra mediante il continuo movimento alternativo del cavo agganciato ai due palloni aereostatici. "Il primo prototipo da 10 metri di altezza è pronto - spiega Zanetti -. Tra un anno saremo pronti a produrre in serie". L'investimento iniziale è di circa 700mila euro.

www.twind.eu

 

 

 

 

 

Tre pilastri per rilanciare la Green Europe

di Jacopo Giliberto

Il pacchetto europeo 20-20- 20 potrà dare un forte impulso alle fonti rinnovabili di energia. Ma difficilmente l'Italia potrà raggiungere l'obiettivo europeo, nemmeno se il Governo mettesse a disposizione incentivi assai più golosi di quelli (già interessanti) che ci sono oggi. Lo conferma un focus della McKinsey specifico sull'Italia in rapporto con il pacchetto europeo (focus anticipato sul Sole 24 Ore del 23 gennaio).

Che cosa dice il pacchetto europeo su clima ed energia approvato il mese scorso? Dice che entro il 2020 i Paesi del l'Unione dovranno alimentarsi con fonti rinnovabili per almeno il 20% dei fabbisogni energetici (nonché alzare l'efficienza energetica e ridurre le emissioni di anidride carbonica).

Quelli europei sono obiettivi nobili e condivisi, conferma la Confindustria. Ma non convince lo strumento adottato dal l'Europa, secondo lo stile più classico di Bruxelles: gli obblighi, i divieti, le sanzioni. Qualche giorno fa Andrea Moltrasio, vicepresidente della Confindustria, aveva sottolineato quali sono i dubbi delle imprese sull'approccio di Bruxelles (si veda "Il Sole 24 Ore" del 23 gennaio), dubbi sui quali gli imprenditori di mezza Europa si sono affiancati alla posizione confindustriale. Gli strumenti per conseguire il risultato ambientale – avvertono i settori economici – devono essere quelli volontari del premio, dell'incentivo.

Come osserva Corrado Clini, direttore generale al ministero dell'Ambiente e uno dei più accreditati negoziatori internazionali nel campo ecologico, "lo stimulus plan per rilanciare l'economia Usa proposto dal presidente Barack Obama è fortemente incentrato sulle politiche per lo sviluppo delle energie pulite e prevede un articolato programma di obiettivi e interventi finanziari per sostenere la transizione energetica degli Usa verso un'economia a basso contenuto di carbonio".

Clini ha discusso per anni con gli esperti Usa che oggi sono stati chiamati da Obama al vertice dell'Amministrazione. Tra i punti del programma statunitense Clini ricorda "l'uso del 10% di fonti rinnovabili nel 2012 e del 25% nel 2025 nei consumi energetici finali, costruzione di una nuova rete elettrica dedicata al trasporto dell'elettricità da fonti rinnovabili, sviluppo e diffusione delle tecnologie per il "carbone pulito" e la cattura e il sequestro del carbonio, con la ripresa del future gen project". E poi la riduzione in 10 anni dei consumi di petrolio, un contenuto massimo di carbonio nei combustibili, l'obbligo di produrre veicoli "flex fuel" dal 2013, efficienza in tutto il settore edilizio privato (+25% per gli edifici esistenti e + 50% per i nuovi edifici entro 10 anni)e dal 2030 tutti gli edifici dovranno essere a zero emissioni.

Per sostenere questi obiettivi il piano del presidente Obama prevede investimenti pubblici ma soprattutto strumenti di mercato: "Come incentivi, la nascita di un fondo privato e indipendente per la ricerca e sviluppo nelle tecnologie alternative, aiuti alle famiglie povere per sostenere i costi aggiuntivi derivanti dalla transizione energetica. Il piano del presidente Obama è una sfida e una grande occasione per l'Europa".

Vedremo se l'Europa saprà raccogliere questa occasione. E soprattutto se riuscirà a farlo questa Italia bravissima a parole.

 

 

 

 

 

 

Fotovoltaico: Italia in prima fila per la competitività

di Giuseppe Caravita

Ha fatto scalpore, tra gli addetti ai lavori, uno studio della McKinsey che indicava due Paesi al mondo come i più vicini, oggi, alla "grid parity" fotovoltaica. Ovvero a quel punto di pareggio in cui una cella solare, sotto un cospicuo irraggiamento, riesce a produrre elettricità a costi uguali, o persino inferiori a quelli prevalenti di mercato.

E l'Italia, caratterizzata dalle sue tariffe elettriche più care del 30% rispetto alla media europea e, insieme, da un robusto irraggiamento naturale, è stata valutata dagli analisti della McKinsey global Foundation come il secondo candidato mondiale alla rottura del filo di lana fotovoltaico: elettricità realmente competitiva con le fonti fossili.

Ma le cose stanno davvero così? Heinz Ossembrink, responsabile dell'unità per le energie rinnovabili del centro di ricerca comunitario di Ispra, da oltre vent'anni, con il suo gruppo, misura il fotovoltaico europeo e internazionale. "La "grid parity" stabile, con il progresso delle tecnologie e la riduzione nei costi arriverà all'incirca, nelle previsioni condivise, al 2012 – osserva – ma già l'estate scorsa, sulla borsa elettrica del Gme vi sono stati numerosi casi di richieste spot di picco diurno giunte a 50-60 centesimi per chilowattora. E alcune di queste sono già state soddisfatte da forniture via rinnovabili". Si tratta, per ora di casi piuttosto estremi. "Ma, soprattutto nel Sud Italia, la barriera del l'economicità comincia a essere superata, e non solo per poche settimane all'anno".

Per Ossembrink è la leva per una previsione: "La nascita, nei prossimi anni, di operatori a energie rinnovabili combinate e integrate, di massa critica sufficiente, capaci di sfruttare al meglio le situazioni di picco, e di adattarsi con flessibilità al mercato".

Un esempio viene da un esperimento in corso guidato dal l'Università di Kassel per conto del Governo tedesco: la simulazione di un impianto energetico combinato, da 40 megawatt, che integra 36 impianti da biomasse, pompaggio d'acqua in bacini idroelettrici, campi eolici e fotovoltaici. "Ebbene, un impianto a rete di questo tipo sarebbe ampiamente capace di soddisfare la domanda elettrica in ogni punto dell'anno, anche nei suoi picchi stagionali". Sfatando il mito di rinnovabili incostanti, destinate a un futuro marginale.

"Nei prossimi anni cominceranno ad emergere operatori ibridi di questo tipo – prevede Ossembrink – che si avvantaggeranno da crescenti masse critiche e insieme dalla riduzione dei costi insito nello sviluppo della tecnologia fotovoltaica. Il loro punto critico starà nello storage. I pompaggi possono essere molto costosi. In inverno, per esempio, i picchi sono nelle ore serali. E uno storage di energia persino di poche ore, anche fatto con sistemi di batterie, potrà fare la differenza".

Operatori di picco, quindi, agili e capaci di evolvere. "Con strutture energetiche anche, per così dire, in multiproprietà, ma gestite in modo coordinato. E casi di questo genere, almenmo in Germania, cominciano a emergere". La traiettora, secondo Ossembrink, verso gestori profittevoli e di mercato. E non più dipendenti dai sussidi pubblici.

 

 

 

 

"E' la Cina la nuova frontiera dell'energia pulita"

di Alfredo Sessa

16 Dicembre 2008

Bosch investe 530 milioni nelle celle solari

La crisi finanziaria mondiale e la discesa dei prezzi del petrolio non fermeranno la nuova rivoluzione industriale, basata sul settore delle energie rinnovabili. Il mercato ripartirà, e la Cina, inoltre, sarà la prossima frontiera per sviluppare il business del solare fotovoltaico.

Parola di Shi Zhengrong, 45 anni, fondatore e presidente di Suntech Power Holdings, il più grande produttore mondiale di pannelli e moduli fotovoltaici. Scienziato dell'ambiente che veste con disinvoltura i panni dell'uomo d'affari, Shi è un esponente di razza della squadra cinese di nuovi industriali di successo, con radici, studi e fabbrica in madrepatria, ma con ambizioni e mercato mondiali. Ambizioni che in Europa coinvolgono in prima linea l'Italia. A Milano, Shi ha tenuto a battesimo nei giorni scorsi la filiale commerciale di Suntech.

Quali saranno le conseguenze della crisi economica sull'industria delle energie rinnovabili?

Uno dei modi in cui si descrive questa crisi finanziaria è quello di una sorta di disastro naturale, dal quale nessuno può salvarsi. In effetti, tutte le industrie saranno colpite, compresa l'industria dell'energia solare. Ma io credo che l'impatto sarà temporaneo. La crisi finanziaria potrà finire in tempi relativamente brevi, le vere crisi resteranno invece quelle dell'energia e dei cambiamenti climatici, che richiederanno sforzi molto più importanti per essere risolte. Il mercato ripartirà e sul lungo termine crescerà, soprattutto quando il prezzo sarà a livello di grid parity (il punto al quale il costo dell'energia fotovoltaica è pari o inferiore a quello dell'energia di rete, ndr).

La caduta del prezzo del petrolio frenerà gli investimenti nelle energie rinnovabili?

Ritengo che non ci sia correlazione tra i prezzi del petrolio e le energie rinnovabili. Come sappiamo, il fatto che il prezzo del petrolio cali non significa che le riserve petrolifere siano in aumento. Anche il calo del prezzo del petrolio è quindi un fenomeno temporaneo, indotto dalla crisi mondiale. Se guardiamo al mercato fotovoltaico, vediamo che in questo momento è un mercato sussidiato dai Governi, in alcuni casi in maniera crescente. Come mai lo sussidiano, se il prezzo del petrolio è in calo? Perché sempre più nazioni sono consapevoli di dovere diventare indipendenti dal petrolio, al di là della temporanea percezione del calo dei prezzi.

Nel settore delle energie alternative si assiste a una crescente concorrenza tra Paesi emergenti, soprattutto Cina, ed Europa e Stati Uniti. Chi vincerà?

Nelle rinnovabili, soprattutto nel solare, negli ultimi anni molta gente ha ottenuto buoni profitti, e quindi non è sorprendente che sempre più investitori siano attirati da questa industria. Ma i protagonisti di questo settore non sono tutti uguali. Un primo tipo di player, tra i quali ci siamo noi di Suntech, ha una vera e propria "vision" e crede che l'energia solare potrà fornire una soluzione radicale per il pianeta e per i nostri figli. Ma c'è un secondo tipo di player, per i quali questo settore è una specie di corsa all'oro. Che entrano sul mercato, fanno qualche profitto e poi, quando pensano che sia il momento opportuno, ne escono. Noi crediamo che siano i player dotati di "vision" quelli che possono realmente offrire prodotti di qualità a costi competitivi.

Cosa si aspetta dal mercato italiano?

Prima di tutto constatiamo un atteggiamento favorevole nella promozione dell'energia solare, e questo ovviamente ci fa piacere. All'inizio vogliamo seminare sul mercato italiano principalmente attraverso la vendita dei prodotti, aiutando i clienti a conoscere l'energia solare e fornendo assistenza tecnica. Quando il mercato italiano diventerà più stabile, allora considereremo l'opportunità di iniziare la produzione sul posto. E per mercato stabile intendo un mercato completamente libero, indipendente da sussidi.

Qual è la percentuale delle vostre vendite in Cina? E in Europa e Usa?

La maggior parte delle nostre vendite è ancora in Europa, circa il 70% della nostra produzione. Le vendite in Cina rappresentano meno del 5% e negli Stati Uniti siamo intorno al 10. Ma detto questo, ritengo che in questo momento sia strategico promuovere le vendite in Cina, è il momento opportuno per convincere il Governo cinese a dare il via alle feed-in tariff (il prezzo al quale i privati cedono alla rete l'energia prodotta con fonti rinnovabili, ndr). Il Governo cinese è molto impegnato nelle energie rinnovabili, ma lo è soprattutto nell'eolico e nelle biomasse. Perché non nel solare? Perché il solare è ancora costoso, e il Governo trova poco pratico sussidiarlo. Ma, in seguito alla crisi finanziaria, i costi sono destinati a calare, e allora è venuto realisticamete il momento di convincere il Governo cinese a dare il via a qualche forma di feed-in tariff nel solare.

Il neopresidente americano Obama punta sui crediti di imposta per finanziare l'energia verde. È una soluzione preferibile alle feed-in tariff?

Penso che feed-in tariff e restituzioni fiscali siano entrambi equiparabili a sussidi governativi all'industria. In termini di semplicità e di praticità, tuttavia, penso che la soluzione migliore siano le feed-in tariff. I crediti d'imposta possono funzionare, ma sono piuttosto complicati, e legati al fatto che uno paghi effettivamente o no una tassa. Con le feed-in tariff, invece, si lavora più facilmente.

La Cina sta finanziando studi nei settori dell'auto elettrica e dei carburanti alternativi. Cosa ne pensa?

Ritengo che i carburanti alternativi siano una soluzione meno promettente. Non per la tecnologia in sè, ma per gli stock. C'è bisogno di ingenti quantitativi di mais, o di canna da zucchero, insomma di materia prima la cui domanda è destinata a competere con le necessità dell'alimentazione umana o animale. Sono economicamente meno efficienti. Ritengo che l'auto elettrica, invece, sia il futuro. Soprattutto la combinazione tra auto elettrica e pannelli solari.

Steven Chu, premio Nobel per la fisica e figlio di immigrati cinesi, è diventato segretario Usa per l'Energia. Cosa si aspetta da questa nomina?

Per noi è una notizia straordinaria, perché Steven Chu è stato direttore del Laboratorio nazionale delle energie rinnovabili negli Stati Uniti, e quindi Barack Obama ha deciso di nominare uno scienziato delle energie rinnovabili nel ruolo di segretario Usa. È un indizio del fatto che il nuovo presidente americano è seriamente intenzionato a mantenere quanto promette nel campo dell'energia.

alfredo.sessa@ilsole24ore.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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